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lunedì 28 giugno 2010

Il Partito che non c'e' "LECORRENTI DEL PRESIDENTE"

Di Carmelo Briguglio
www.generazioneitalia.it

Alcuni di noi vengono da una storia politica. E hanno il proprio vissuto. Nelle forme in cui si è incarnata la destra politica italiana (Msi, Msi-Dn, An) l’una e l’altro si intrecciavano e coincidevano con le stagioni, felici e meno, della nostra esistenza. Dalla scuola, all’università, al lavoro, alla famiglia, alla nascita dei nostri figli, ai funerali dei nostri padri, c’era una storia parallela fatta di assemblee studentesche, del primo comizio con le gambe tremolanti, delle candidature piccole e grandi, della prima elezione in un piccolo consiglio. E poi: la sezione, il ciclostile, il volantino, la colla: barattoli e secchi di colla, migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia di manifesti attaccati. I congressi, i documenti, gli scontri interni, i traditori, noi e loro. La contestazione, i venduti, il capo-dittatore. L’intervento al Congresso nazionale a notte fonda, un pugno di amici ad ascoltarti e ad applaudirti. Ma sul nostro Secolo, il “nostro mondo” avrebbe saputo. E poi i più audaci e fortunati in Consiglio comunale, provinciale regionale. Con le maledettissime preferenze. Cento, mille, diecimila e oltre. Poi pochi in Parlamento, la dove nessuno di noi da ragazzi con gli occhi puntati ai giganti (Almirante, Romualdi, Rauti, Fini) avrebbe pensato mai di arrivare. Anche ingiustizie, atti d’arbitrio, emarginazioni, punizioni. Vere e immaginarie. Tutto previsto. Come era accaduto a chi ci aveva preceduto. Tutti i leader del partito che fu, Fini compreso, hanno usato il potere interno come fa un capo per tenere a bada oppositori e dissenzienti. Talvolta senza andare per il sottile. Lo sapevamo. Erano le regole del gioco. Scuola di sacrificio e resistenza: farcela a stare in una comunità di idee ma anche di uomini, avere lo stomaco forte, inghiottire rospi, andare avanti. Ma i capi dal Msi ad An si diedero sempre un limes. Un confine da non oltrepassare, una sorta di sancta sanctorum che nemmeno al leader era consentito violare. Il legame sociale che faceva riconoscere il tuo valore, le tue qualità, da parte del capo anche se non eri con lui, anche se non lo avevi votato al congresso, anche se lo avevi contrastato. Alcune volte, anni dopo capivamo che aveva ragione lui, che avevamo preso cantonate strategiche e che i capi, se sono tali, vedono cento metri più in là. Potevano frenare, ritardare la tua ascesa. Dovevi fare spazio ad altri, magari più vicino al leader, ma maturavi un credito che prima o poi avresti riscosso. C’era soprattutto il luogo della politica: la sede centrale o periferica, l’organo dove dire la tua, il congresso dove gridare applaudire fischiare votare. E vincere o perdere. E dopo perdere e vincere. O anche sempre perdere, ma mai in modo assoluto o definitivo: lo impediva il limes. Questo è sicuramente il passato. Un passato che è passato. Appartenuto anche ad altri, sull’altra sponda. Su tutte le sponde in cui si è fatta politica. Ricacciamo indietro l’amarcord. Chi ha un’età matura come noi ha saputo farlo altre volte. La nostra generazione, con qualche ribellione, si è fatta spingere, anche a pedate, verso il futuro. Da un Fini che guardava avanti per tutti: Fiuggi, Gerusalemme, il Popolo della Libertà. Ma oggi ci chiediamo: il Pdl c’è? Esiste? O a un anno e più dalla nascita si è ridotto a un ufficio di presidenza e a una consulta per la Giustizia, punto e basta? E dov’è il limes?
Si vorrebbe applicare la disciplina interna in un partito che non ha un solo organo scelto dal basso? Senza iscritti, senza dirigenti eletti, senza riunioni della direzione, del consiglio nazionale. Senza congressi sul territorio. Alcuni “estremisti per bene” vorrebbero imporre la regola della maggioranza alla minoranza. Che si applicherebbe alla legge sulle intercettazioni ma non alla nomina di Brancher a ministro della Repubblica. Mai discussa ma solo appresa dai giornali. Per fare due esempi recenti. O che imporrebbe il divieto di associazione all’area che si riconosce nel Presidente della Camera, ma non ai gruppi organizzati, chiamiamoli col loro nome, alle correnti vicine (vicine, siamo sicuri Presidente?) a Berlusconi: Promotori della Libertà, Liberamente, gruppo Schifani-Alfano. E così via. A chi conosce la cassetta degli attrezzi, sarebbe agevole montare una polemica interminabile.
Invece ci interessa una riflessione che serve a tutti. Il Presidente del Consiglio ha annunciato “di essere contrario a qualsiasi frammentazione del Pdl anche mascherata da fondazioni o associazioni che possono suscitare l’impressione di dar vita a correnti”. Sandro Bondi comunica che lui non aderisce a nessuna corrente. Ok, ma va spiegato dentro e fuori perché i Promotori della Libertà, associazione-corrente guidata dalla ministra del Turismo sia presieduta da Berlusconi in prima persona. Perchè i suoi dirigenti sono stati nominati dallo stesso premier? Sandro Bondi per la Cultura e la Formazione, Angelino Alfano per la Giustizia Rocco Crimi per lo Sport, Paolo Bonaiuti per l’Informazione. Insomma la corrente del Presidente, presieduta dal Presidente, con responsabili nominati direttamente dal Presidente prelevati dal suo inner circle.
Perchè l’immagine del Cavaliere, che è il presidente del Pdl, campeggia sul sito dei Promotori con l’appello diretto ad iscriversi all’associazione brambillesca:“Diventa Promotore della Libertà del Pdl per diffondere i nostri valori di democrazia e libertà. Il tuo contributo sarà prezioso per sostenere il mio lavoro e quello del mio Governo, con azioni concrete nella tua città e in tutto il Paese”? Perchè è toccato persino ai parlamentari del Pdl, inclusi quelli di provenienza An, con una storia politica meno estemporanea di Michela Vittoria Brambilla, ricevere nei mesi scorsi una lettera firmata Silvio Berlusconi che li invitava ad aderire ai Promotori della Libertà? Poi, poi, poi…Perché quel simbolo assomiglia a quello del Popolo della Libertà ? Perché l’acronimo di Promotori della Libertà è identico a quello del Popolo della Libertà: PDL? Non c’è bisogno di qualche spiegazione?
Poi Liberamente, la fondazione promossa da Mariastella Gelmini, Franco Frattini e Mario Valducci. Nega di essere una corrente (e perché mai?) ma si dice collegata “alla storia del berlusconismo, a quella generazione di classe politica che ha fatto la storia di questi sedici anni” (leggasi Forza Italia). E decisa “a giocare un ruolo di primo piano anche nel dibattito politico interno al Pdl”. La corrente dei superberlusconiani. Legittima per carità, ma di corrente si tratta. O no? Ci spieghino. Siamo qui ad ascoltare.
Qualche nota sulla Schifani-Alfano. Che non è una legge, ma una corrente organizzata. In Sicilia, ma non solo. Bocchino è stato crocifisso per avere detto senza asprezze una verità “normale”. Il Presidente del Senato e il ministro della Giustizia, sono uomini delle istituzioni, ma sono anche uomini di appartenenza. Hanno nominato e arruolato da anni, in contrapposizione a Gianfranco Miccichè, parlamentari, deputati regionali, sindaci, presidenti, assessori, manager di Asl, consiglieri di amministrazione. Fanno riunioni, organizzano le proprie truppe, ordinano, promuovono, si scontrano. Esercitano e occupano il potere. Normale, assolutamente normale. Non si sono mai sognati di smentirlo. Non potrebbero. Perché è una verità documentabile. Per tabulas. Comprese intere raccolte di quotidiani regionali. Il Presidente del Senato poi non è una entità angelica, né un uomo super partes, almeno fuori dall’aula. E va bene. E’ parte integrante della ricchezza di uomini e vocazioni politiche dentro il Pdl. Che male c’è? Salvo che non si non si voglia farlo passare soltanto come uomo delle istituzioni in contrapposizione a Gianfranco Fini che è stato invitato molto rudemente a lasciare il seggio più alto di Montecitorio perché “fa politica”. E non solo da Lehner e Stracquadanio che sono creature politiche sui generis. Ma da personalità come Bondi o Quagliarello. I quali sanno di non potere pretendere da Fini ciò che non si chiede a Schifani.
Nel partito che non c’è non può passare il principio che bisogna fare le regole per gli altri. Come quella che hanno cittadinanza solo le correnti del Presidente o degli amici del Presidente. Noi ci siamo anche per questo. Perché il dibattito continui. E il partito un giorno ci possa essere.

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